Sulla parità di genere nella rappresentanza politica: l’intervento di Margherita Amici in riferimento all’Istanza d’Arengo n. 8

Sulla parità di genere nella rappresentanza politica: l’intervento di Margherita Amici in riferimento all’Istanza d’Arengo n. 8

Margherita Amici

Pubblichiamo l’intervento del Consigliere Margherita Amici sul comma 44 della seduta consiliare di gennaio 2017, in riferimento all’Istanza d’Arengo n.8 “perché siano intraprese le misure più opportune al fine di riequilibrare la rappresentanza politica in termini di genere”.


 

Eccellenze,

Illustri Consiglieri,

qualche parola deve essere spesa sul delicato tema della rappresentanza del genere femminile in seno al Consiglio Grande e Generale. L’istanza d’arengo in oggetto solleva questioni meritevoli di attenta considerazione, certo.

Questioni però contaminate da una serie di proposte che dimostrano un approccio superficiale al tema delle pari opportunità e al divieto di discriminazione di genere, ma – soprattutto – avulso dai principi costituzionali su cui il nostro ordinamento poggia le proprie fondamenta.

Nell’istanza si chiede che “vengano messe in atto tutte le misure che il Consiglio riterrà opportune per riequilibrare la rappresentanza politica in termini di genere” e fa riferimento, a titolo esemplificativo, a meccanismi adottati da altri Stati, con questo preciso scopo: in particolare, la doppia preferenza di genere e la quota di rappresentanti predefinita in base al genere.

La valutazione su cui si deve necessariamente fondare un intervento legislativo come quello richiesto dall’istanza d’arengo che stiamo esaminando deve essere condotta con attenta ponderazione. Ponderazione, innanzitutto, sulla reale dimensione del fenomeno portato all’attenzione di questa assemblea. Nell’istanza si legge che “San Marino è tra gli Stati Europei con minore rappresentanza politica femminile”.

Aldilà del dato numerico, non possiamo esimerci dall’esaminare il fenomeno in termini più elevati che un mero conteggio di poltrone.

Quando si adombra una discriminazione di genere occorre prendere in considerazione l’evoluzione del principio di eguaglianza che è di estrema complessità e non può essere svilito allo slogan “tutti devono avere gli stessi diritti e gli stessi doveri”.

Alla luce del principio di ragionevolezza, che deve guidare il legislatore, al pari degli altri principi supremi del nostro ordinamento, è stato elaborato il concetto di “eguaglianza sostanziale”, che consente di disciplinare in maniera diversa situazioni che siano – sostanzialmente – diverse fra loro. Il legislatore deve perciò garantire uguaglianza nelle posizioni di partenza ai tutti i cittadini.

Esaminando l’istanza d’arengo in oggetto, il dato fattuale che l’ha generata è una minore rappresentanza del genere femminile in Consiglio. Eppure non vi sono elementi d’ostacolo all’accesso alla politica, da parte delle donne, che possano qualificarsi come “etero-imposti”, ossia indipendenti dalle scelte personali del singolo cittadino. Il numero dei Consiglieri donne è determinato dalle regole della competizione politica e da esse solamente. Non invece da ostacoli concretamente individuabili, se non quelli riconducibili alla scelta del cittadino di candidarsi o meno, che rappresentano ragioni intime e, perciò, insindacabili né risolvibili dal legislatore.

Tra l’altro, il tema è ancora più delicato considerato il necessario bilanciamento che occorre operare tra i due principi costituzionali in gioco: da un lato, il principio di eguaglianza – nella sua duplice dimensione, formale e sostanziale – che garantisce la parità tra sessi e le reciproche pari opportunità, e che, di conseguenza, evita la preclusione all’esercizio delle funzioni politico–amministrative ad uno dei due generi. Sull’altro piatto della bilancia abbiamo il principio di democraticità, legalità, imparzialità e indipendenza della pubblica amministrazione.

Ed è proprio un erroneo bilanciamento dei principi costituzionali chiamati in causa che può condurre a provvedimenti illegittimi, che – ripeto – è bene ponderare attentamente.

Ma quali sono allora le misure legittime in tema di pari opportunità? Solo ed esclusivamente quelle misure che si propongono di “rimuovere” gli ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, e non invece quelle che attribuiscono loro direttamente quei risultati medesimi.

Qualsiasi vincolo che la legge imponga per conseguire l’equilibrio dei generi nella rappresentanza politica non deve, infatti, incidere sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale, a meno di non voler sfociare in una discriminazione al contrario, notoriamente illegittima.

Con questo non significa che il fenomeno non meriti considerazione, bensì che la normativa volta a determinare l’equilibrio dei generi deve assumere portata tendenziale e proporzionata al reale obiettivo dei principi costituzionali.

D’altra parte, un intervento legislativo in materia, dovrà esimersi dal prefigurare un risultato elettorale o di alterare artificiosamente la composizione della rappresentanza politica. L’unica misura accettabile, sotto il profilo di legittimità costituzionale, è la creazione di un sistema idoneo a rendere maggiormente possibile il riequilibrio dei generi, senza però imporlo. Si deve trattare quindi di una misura promozionale, non coattiva.

Per questo motivo, riteniamo l’Istanza d’Arengo non ammissibile, ma impegniamo altresì il Governo con un Ordine del Giorno avente ad oggetto la questione della rappresentanza di genere in Consiglio. Repubblica Futura approverà favorevolmente l’OdG, ritenendo il tema proposto meritevole sì di considerazione nei suoi obiettivi, ma da affrontare, per i motivi sopra esposti, con massima cautela e contezza del tessuto costituzionale su cui il legislatore deve cucire gli interventi legislativi su cui è chiamato a decidere.

Colgo l’occasione per rispondere all’intervento di ieri, del Consigliere Ciavatta, che ha avanzato un’accusa grave nei confronti dei membri più giovani della nuova maggioranza. Non siamo degli “spingi-bottoni”. Il silenzio mantenuto sino a questo momento è segno di una chiara consapevolezza circa le nostre competenze. Non pretendiamo noi, a differenza di un’altra ala del Consiglio, di essere tuttologi, sgomitando per esprimere un’opinione, anche senza precisa contezza della materia. Interveniamo nel momento in cui siamo in grado di spendere le nostre competenze al servizio del Paese e di questa assemblea legislativa. Attenzione a non confondere il disinteresse con l’umiltà.

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