Riforma di Bilancio: l’intervento di Pier Luigi Zanotti | CGG del 12.12.18

Riforma di Bilancio: l’intervento di Pier Luigi Zanotti | CGG del 12.12.18

Pier Luigi Zanotti

Non è mai facile valutare una legge di bilancio in momenti particolari, come quello che sta attraversando il nostro paese. Viene caricata di attese spesso irrealistiche come da essa dipendesse totalmente il nostro futuro.

Non voglio sminuirne la portata di questa legge, ma essa va inserita in tutta una serie di misure prese in questi due anni che hanno tutte lo stesso obiettivo: modernizzare il paese, cambiare modello di sviluppo, attirare investimenti, facilitare le attività del mondo imprenditoriale, produttivo, commerciale.

Molti gridano allo scandalo e al fallimento quando questo governo cerca di mettere in sicurezza il bilancio e farlo divenire strutturalmente solido, non considerando però che, senza finanze pubbliche solide e stabili, è impossibile tutelare davvero i diritti sociali, le libertà e la libertà, in modo efficace e duraturo. In sostanza, non c’è futuro anzi, per dirlo meglio, c’è un futuro con meno diritti, meno libertà, meno equità.

Molti gridano allo scandalo quando si vanno a toccare le pensioni, parlando tanto di diritti acquisiti.
Ma dimenticando che dovere di tutti è non pretendere di vivere al di sopra delle proprie possibilità, pretendendo prestazioni pensionistiche fuori dalla realtà attuale, comunque insostenibili a giudizio inequivocabile dei numeri. E dimenticando totalmente il concetto di solidarietà intergenerazionale, senza la quale parlare di diritti, equità, libertà è pura ipocrisia, perché si pretende di stare bene oggi e chi verrà dopo… pazienza.

Le regole del gioco sono drasticamente cambiate: spariti i capisaldi della vecchia economia, in cui un terzo della fiscalità veniva dal sistema bancario, dobbiamo ridefinire tutta la spesa dello stato e cambiare mentalità su tutto. Politica, cittadini, economia, idea dello stato, pubblica amministrazione, cultura del lavoro. Questa è la grande sfida che ci sta di fronte, davanti alla quale – con le dovute differenze – siamo tutti responsabili, maggioranza e opposizione.

Qual è il rischio oggi più grande? Rimanere prigionieri del presente e delle paure che porta con sé. Le paure sono da ascoltare e comprendere ma non ci devono imprigionare.
La tentazione da parte delle opposizioni è di soffiare sulle paure per creare un clima ostile al governo, è la tattica del lamento e della critica sempre e comunque; la tentazione da parte della maggioranza e del governo è non comprendere queste paure, non ascoltarle andando dritti per la propria strada, è la tendenza a sacrificare ciò che già di buono c’è nella foga di cambiare tutto.
Maggioranza e opposizione hanno il dovere di vigilare sul proprio comportamento e sull’atteggiamento migliore da tenere per fare qualcosa di buono per i nostri cittadini. Ce lo chiedono a gran voce.

Il governo ha oggi delle sfide immani davanti: capisco che lasciarlo solo sperando che vada a sbattere è una bella tentazione per l’opposizione, legittima tentazione. Ma non serve a ricostruire, anzi lascia più macerie di quelle che ci sono già.
Quello di cui andremo a discutere oggi in questa legge di bilancio è un altro piccolo passo nel tentativo di costruire una nuova casa, con altre fondamenta, diversa struttura, diverso materiale, nuovi obiettivi. Casa che non sarà finita né tra un mese, né tra un anno, ma almeno è base su cui costruire futuro.

Tasse: parlare di tasse in politica è un po’ come parlare di corda in casa dell’impiccato: nessun argomento è pericoloso come questo, ovviamente quando c’è necessità di alzarle: è ricetta sicura per l’impopolarità.

Ora, è certo che le tasse hanno un effetto restrittivo sull’economia: nessuno lo nega.
Ma ci si dimentica troppo spesso che sono gli stessi soldi che ritornano nelle tasche dei cittadini in termini di servizi e spese di cui tutti beneficiano.
Quando parliamo di tasse quindi, invece che dichiarare una discutibile guerra alle tasse in sé, è indispensabile considerarle in maniera realistica riferendosi ai due principi che devono guidare ogni politica in materia di tassazione: equità ed efficienza.
Le tasse devono cioè essere giuste pesando in maggior misura su chi ha maggiori mezzi economici;
devono inoltre essere efficienti, progettando interventi in modo da minimizzare gli effetti restrittivi su ciò che produce crescita per molti e gravando di più su ciò che produce rendite per pochi.

Ma soprattutto le tasse hanno il fondamentale compito di ridurre le disuguaglianze. Questo è un obiettivo rilevante, sia nel corto periodo – perché avrebbe un effetto positivo su coloro che beneficiano della redistribuzione – sia nel lungo periodo, sulla società nel suo complesso: molti studi, infatti, indicano che dove sono registrati più alti livelli di disuguaglianza la mobilità sociale è più bassa e la crescita è più lenta.

E quando si parla di tasse dicendo che si è d’accordo in teoria ma prima devono pagarle sempre altre categorie, indipendentemente da chi è al governo, non si andrà molto lontano. Non dobbiamo avere paura di riforme anche dolorose su questo piano: è l’unica strada.
Vi è da dire che è giusta l’obiezione che chiede che tutti paghino le tasse quando si chiede ai cittadini di pagare di più. In questo senso, verrà portato in discussione nell’articolato un emendamento condiviso da maggioranza e governo che ha lo scopo di dare una spinta importante per migliorare gli accertamenti fiscali usando un metodologie nuove, più veloci ed efficienti, utilizzando i dati già in possesso della PA e senza andare ad istituire corpi speciali di polizia tributaria o soluzioni simili. Ci aspettiamo molto sotto questo aspetto.

Quando si parla di modelli di sviluppo per uscire dalla crisi si cita spesso l’Islanda come modello, perché dopo la crisi è ripartita e ha messo in prigione i banchieri. Ecco da quali condizioni partiva e cosa ha fatto sul piano delle misure economiche:

  • Nel 2008 banche private erano fallite lasciando un buco di 85 miliardi: il governo lasciò fallire banche, altre le nazionalizzò e si accollò i debiti. Come conseguenza delle misure il debito pubblico aumentò dell’80% in poche settimane e la moneta nazionale crollò di valore
  • Non venne tagliato per nulla il welfare ma si alzò IVA al 25,5% (a quel tempo l’aliquota più alta d’Europa)
  • Aumentò aliquota massima delle tasse per le persone fisiche dal 35% al 46%
  • Bloccò scatti e stipendi dei dipendenti pubblici e gli stipendi islandesi calarono fino all’11%
  • Il tasso di disoccupazione salì fino al 9%
  • Chiesero assistenza a FMI assumendo un prestito di 5 miliardi di dollari

Dopo 3 anni il PIL dell’Islanda ha ricominciato a risalire per merito del turismo, favorito dalla moneta debole. Il tasso di disoccupazione è calato progressivamente e l’economia ha cominciato a riprendersi, anche se le tasse sono rimaste molto alte perché devono ancora pagare parte dei soldi che le banche private dovevano a investitori stranieri

Noi non dovremo prendere misure drastiche come l’Islanda: siamo messi molto meglio di quel paese, e comunque fare confronti con altri paesi, anche così diversi dal nostro, può non essere pienamente corretto.
E l’Islanda non è l’unico paese in Europa che è ripartito dopo profonda crisi economica, con l’aiuto del FMI. L’FMI, come vedete, non è il male assoluto: un paese riparte o meno in forza solo della sua decisione ed unità, della sua capacità di riformare ciò che non funziona più, capacità di visione per il futuro e di prendere misure sul momento difficili.

Il nostro paese non è sull’orlo del baratro, non sta fallendo: sta lentamente risalendo dal periodo più nero ma bisogna avere la fiducia e la pazienza necessarie perché cambiare tutto ciò che è rimasto immobile per anni o decenni non è facile, né gli effetti di ciò che è già stato fatto possono essere immediati.

Chiedo al governo maggiore decisione e velocità nel mettere in pratica ciò che deve essere ancora fatto e dare maggiore forza alle riforme e misure già prese: il tempo è un fattore chiave.

Riforme e investimenti sono l’unica nostra strada: non facciamoci qui in questi giorni guerre all’ultimo sangue sulle spalle dei nostri cittadini, che invece chiedono unità di intenti e un obiettivo che dia prospettiva e speranza al nostro amato paese.

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